Affacciata al ponte, la comitiva di bagnanti della domenica, pianelle e zainetto, mi fa viaggiare nel tempo.. ed io un pò di nostalgia la provo.
Sarà perchè mi ricordo la città quando era piccola piccola.
Questa, somiglia ancora a se stessa, qualche volta, e solo in certi quartieri.
La gente ancora va per strada, se dentro fa troppo caldo. Sta là fuori a prendere aria, appollaiata sulle panchine a mettere su storie, a dirsi malumori, a fare pace. Così, tutto in pubblico, .."t'agg ditte..tu dic' 'e parole e tropp'!"
Mi ricordo di quando - al centro - passavano le pecore, di quando ci si conosceva tutti e non c'era bisogno di piattaforme comuni per stare insieme - bastava uscire.
venerdì 30 luglio 2010
martedì 27 luglio 2010
non è obbligatorio!
Il piccolo genio del male colpisce duro.
Allora, nascono questi gattini e naturalmente lo comunica a tutto il mondo: "sai, sono 4, sono piccoli come dei topolini, si, sono tutti neri.." e dall’altro capo del telefono la mia amica: "devo, devo proprio venire", e lui continua "sono belli, ti piaceranno, mamma me li ha fatti toccare e poi gli dobbiamo dare dei nomi, e ci giocherò quando saranno grandi.."
Al di là del filo: "ahhh ma allora devo venire!" - Quando? - "Non lo so, ma devo!"
Lui ci pensa su un attimo e dice: "non è obbligatorio!"
Allora, nascono questi gattini e naturalmente lo comunica a tutto il mondo: "sai, sono 4, sono piccoli come dei topolini, si, sono tutti neri.." e dall’altro capo del telefono la mia amica: "devo, devo proprio venire", e lui continua "sono belli, ti piaceranno, mamma me li ha fatti toccare e poi gli dobbiamo dare dei nomi, e ci giocherò quando saranno grandi.."
Al di là del filo: "ahhh ma allora devo venire!" - Quando? - "Non lo so, ma devo!"
Lui ci pensa su un attimo e dice: "non è obbligatorio!"
lunedì 26 luglio 2010
la mano de dios
Me la sono voluta io.. ho detto: "in questi dieci giorni niente roba per turisti!"
E cosi mi fanno: "c'è Rodrigo allora!"
Il genere è la quartetaza - così la chiamano qua - o almeno così mi è parso di capire in questa mia full immersion nello sconosciutissimo castegiano.
Rodrigo è una roba a metà tra Gigi D'alessio e Gigione... "capite a mmme!!!"
Tiene i suoi concerti ignudo e tatuato davanti a fans che, uguali uguali all'originale, fanno tutto quello che fa lui - si ignudano e arrivano ai concerti tatuati come cartine geografiche.
Quando canta la mano de dios porta calzoncini sportivi da boxe, ed io timidamente mi chiedo come mai proprio da boxe visto che si parla di calcio. Però non voglio fare la guastafeste, a me mi tocca il cuore comunque! Perchè lui impazzisce cantando maradò maradò, ed io pure!
Al pibe de oro devo l'epifania del primo scudetto del Napoli - non sono ammattita, no! Gli devo la fortuna di avere vissuto una festa barocca e piedigrotta quando queste non esistevano più. A lui, triviale e cialtrone, devo l'aver imparato a ridere e compatire fino alle lacrime. A riconoscere negli altri l'umano che sono.
Onore al genio!
E cosi mi fanno: "c'è Rodrigo allora!"
Il genere è la quartetaza - così la chiamano qua - o almeno così mi è parso di capire in questa mia full immersion nello sconosciutissimo castegiano.
Rodrigo è una roba a metà tra Gigi D'alessio e Gigione... "capite a mmme!!!"
Tiene i suoi concerti ignudo e tatuato davanti a fans che, uguali uguali all'originale, fanno tutto quello che fa lui - si ignudano e arrivano ai concerti tatuati come cartine geografiche.
Quando canta la mano de dios porta calzoncini sportivi da boxe, ed io timidamente mi chiedo come mai proprio da boxe visto che si parla di calcio. Però non voglio fare la guastafeste, a me mi tocca il cuore comunque! Perchè lui impazzisce cantando maradò maradò, ed io pure!
Al pibe de oro devo l'epifania del primo scudetto del Napoli - non sono ammattita, no! Gli devo la fortuna di avere vissuto una festa barocca e piedigrotta quando queste non esistevano più. A lui, triviale e cialtrone, devo l'aver imparato a ridere e compatire fino alle lacrime. A riconoscere negli altri l'umano che sono.
Onore al genio!
domenica 25 luglio 2010
stadio S. Paolo - la Boca
Eloisa è in una stanza, ingombra di tutto,somiglia in modo impressionante a quello che sapevo. E' piena, precaria, discontinua ed artigiana. Alejandro e Miriam sono Eloisa, non viaggiano nel mondo perchè non c'hanno i soldi, lavorano lì perchè era l'unica cosa che potevano fare ed hanno deciso di farla come un destino, con poesia.
Non vogliono sovvenzioni, conoscono e rispettano la precarietà, supportano ed intendono la diversità.
Stanno alla Boca e cioè stadio S. Paolo - Napoli - trent'anni fa. Abitato male e pericoloso. Non sanno parlare la lingua dell'economia, e rispondono solo se gli chiedi di libri, di storie, di poesia.. non capiscono niente, proprio niente di marketing.
E se invece capissero tutto?
Da Eloisa ci vanno a spendere le anime, quelle che non rinunciano a se stesse, pubblicano e comprano, per pochi pesos, i poeti, i diseredati in cerca di una voce, di giustizia.
E che lingua si parla con le anime?
Non vogliono sovvenzioni, conoscono e rispettano la precarietà, supportano ed intendono la diversità.
Stanno alla Boca e cioè stadio S. Paolo - Napoli - trent'anni fa. Abitato male e pericoloso. Non sanno parlare la lingua dell'economia, e rispondono solo se gli chiedi di libri, di storie, di poesia.. non capiscono niente, proprio niente di marketing.
E se invece capissero tutto?
Da Eloisa ci vanno a spendere le anime, quelle che non rinunciano a se stesse, pubblicano e comprano, per pochi pesos, i poeti, i diseredati in cerca di una voce, di giustizia.
E che lingua si parla con le anime?
giovedì 22 luglio 2010
la domanda a cui volevo rispondere
Ciao B.A.
Ti guardo a lungo mentre sorvolo di notte il tuo luccichio potente e complicato. Arrivederci mio immaginifico albero di natale disteso a guardare le stelle.
Da quassù, strappo il foglio e ne faccio piccoli pezzi. Sopra vi avevo appuntato “farewell“ – la versione dei fatti, quella a cui credere - “io non voglio amata perché nulla ci leghi che nulla ci unisca”... che è un addio da così lontano.
Ti devo la donna che ho saputo incontrare, ne riporto a casa il sedimento, il segreto che già posseggo e che ancora non so svelare.
E, llegando, voglio dare mucho spazio alla fortuna e così non la sveglierò, non la viaggerò, non le parlerò, non le sorriderò, non l’annuserò, non avrò calma né urgenze. Non la guarderò, né leggerò, né piangerò. Non la sentirò nella bisgia fea del mio stomaco. Non le mentirò e non potrò abbandonarla.
Cosa è stato? Zampe di rana collegate ad elettrodi? O..
Ti guardo a lungo mentre sorvolo di notte il tuo luccichio potente e complicato. Arrivederci mio immaginifico albero di natale disteso a guardare le stelle.
Da quassù, strappo il foglio e ne faccio piccoli pezzi. Sopra vi avevo appuntato “farewell“ – la versione dei fatti, quella a cui credere - “io non voglio amata perché nulla ci leghi che nulla ci unisca”... che è un addio da così lontano.
Ti devo la donna che ho saputo incontrare, ne riporto a casa il sedimento, il segreto che già posseggo e che ancora non so svelare.
E, llegando, voglio dare mucho spazio alla fortuna e così non la sveglierò, non la viaggerò, non le parlerò, non le sorriderò, non l’annuserò, non avrò calma né urgenze. Non la guarderò, né leggerò, né piangerò. Non la sentirò nella bisgia fea del mio stomaco. Non le mentirò e non potrò abbandonarla.
Cosa è stato? Zampe di rana collegate ad elettrodi? O..
lunedì 19 luglio 2010
non è bastardo chi somiglia al suo
Mio figlio ha due amici storici Giovanni Cammisella e Raffaele Borongaldi. Giovanni è comparso subito, sin da quando ha cominciato a parlare. E' un amico fidato, un compagno di viaggi e di esperienze.
Sono andati a Berlino, hanno parlato ai congressi, comprato vestiti eleganti, preso aerei, indossato cravatte, fatto gli attori girovaghi, e contano di fare ancora un tratto di strada assieme.
Conta poco che Giovanni per un certo periodo sia pure morto, con tanto di ubicazione al cimitero: "mamma, sta proprio lì, vicino alla fontanella"!
Ora come ora, mi pare goda della miglior salute.
Il secondo gestisce una avviata attività, un ingrosso di frutta e verdura "l'orto dei longobardi", e mio figlio va pazzo per il suo muletto che sposta i cassoni dal deposito al negozio.
A lui, se gli amici non sono bizzarri o non hanno un qualche talento, non piacciono.
Se li raccatta qua e là, scegliendoli senza pregiudizi, poi li segue, ne parla in continuazione, li ama per sempre.
Per Sergio, di mestiere parcheggiatore abusivo, ha una vera e propria passione. Chiede al nonno di andarlo a salutare e si preoccupa di non vederlo...
Aspetta, tutto eccitato, che sbuchi da dietro una macchina per chiedergli: "com'è andata oggi?" e quello risponde: "bene, tu mi porti fortuna" snocciolandogli anche il guadagno giornaliero: "24 più 53".
Poi, si porta le dita agli occhi e rifà lo stesso gesto verso Emanuele dicendogli: "amico, ci vediamo domani".
Sono andati a Berlino, hanno parlato ai congressi, comprato vestiti eleganti, preso aerei, indossato cravatte, fatto gli attori girovaghi, e contano di fare ancora un tratto di strada assieme.
Conta poco che Giovanni per un certo periodo sia pure morto, con tanto di ubicazione al cimitero: "mamma, sta proprio lì, vicino alla fontanella"!
Ora come ora, mi pare goda della miglior salute.
Il secondo gestisce una avviata attività, un ingrosso di frutta e verdura "l'orto dei longobardi", e mio figlio va pazzo per il suo muletto che sposta i cassoni dal deposito al negozio.
A lui, se gli amici non sono bizzarri o non hanno un qualche talento, non piacciono.
Se li raccatta qua e là, scegliendoli senza pregiudizi, poi li segue, ne parla in continuazione, li ama per sempre.
Per Sergio, di mestiere parcheggiatore abusivo, ha una vera e propria passione. Chiede al nonno di andarlo a salutare e si preoccupa di non vederlo...
Aspetta, tutto eccitato, che sbuchi da dietro una macchina per chiedergli: "com'è andata oggi?" e quello risponde: "bene, tu mi porti fortuna" snocciolandogli anche il guadagno giornaliero: "24 più 53".
Poi, si porta le dita agli occhi e rifà lo stesso gesto verso Emanuele dicendogli: "amico, ci vediamo domani".
domenica 18 luglio 2010
Stazione perù
Se vai per calle Florida, alla fine, incroci avenida de majo. 200 metri a sinistra c'è la stazione Perù del Subte - la metropolitana.
Il traffico è frenetico, le persone innervosite da una giornata invernale caldissima - almeno 25 gradi - che non sai come vestirti.
Dall'altro lato dell'avenida vai verso SantElmo, ma continuare non è facile perchè tra i piedi ti spunta il mercatino dell'america centrale con i suoi ninnoli speciali: finti cammei, gioielli degli anni quaranta, cimeli di eserciti da cent'anni di solitudine. Un signore barbuto mi vende fumetti originali di mafalda e mi manda verso un museo inesistente, tra santelmo e calle defensa.
Vado - per lo meno 10 chilometri al giorno - perchè voglio vedere, perchè so che me ne dovrò andare presto anche se sento che qui è abbastanza bello, abbastanza affine ed abbastanza misterioso, da volerci restare almeno un pò.
Mi attira l'idea del "sai che c'è? mi andrebbe di restare, di sperimentare, di scorrere".
A perdermi non ci penso proprio. E come potrebbe mai accadere?
Ogni tanto, però, mi manca quel soffio che fa dondolare e fa vivere. Idee nuove, nuovi amici, nuovi sguardi al mondo e su di me.
Si, lo so, il "tutti i giorni" diventa uguale a qualsiasi latitudine, ma io sento la spinta.
Sto ansimando - da troppo - il respiro corto della negazione.
L'aria del mondo ed il suo contrario - entrambe - sono fatte della stessa materia.
Il traffico è frenetico, le persone innervosite da una giornata invernale caldissima - almeno 25 gradi - che non sai come vestirti.
Dall'altro lato dell'avenida vai verso SantElmo, ma continuare non è facile perchè tra i piedi ti spunta il mercatino dell'america centrale con i suoi ninnoli speciali: finti cammei, gioielli degli anni quaranta, cimeli di eserciti da cent'anni di solitudine. Un signore barbuto mi vende fumetti originali di mafalda e mi manda verso un museo inesistente, tra santelmo e calle defensa.
Vado - per lo meno 10 chilometri al giorno - perchè voglio vedere, perchè so che me ne dovrò andare presto anche se sento che qui è abbastanza bello, abbastanza affine ed abbastanza misterioso, da volerci restare almeno un pò.
Mi attira l'idea del "sai che c'è? mi andrebbe di restare, di sperimentare, di scorrere".
A perdermi non ci penso proprio. E come potrebbe mai accadere?
Ogni tanto, però, mi manca quel soffio che fa dondolare e fa vivere. Idee nuove, nuovi amici, nuovi sguardi al mondo e su di me.
Si, lo so, il "tutti i giorni" diventa uguale a qualsiasi latitudine, ma io sento la spinta.
Sto ansimando - da troppo - il respiro corto della negazione.
L'aria del mondo ed il suo contrario - entrambe - sono fatte della stessa materia.
mercoledì 14 luglio 2010
capolinea retiro
Sono travolta dall’onda umana – è silenziosa e triste – abbastanza triste. Forse è la crisi o forse è solo perché è un’onda. Non so.
Poi, molto silenzio. Questo non te l’aspetti – il parlare sottovoce – il risparmiare le forze.
Prossima stazione Retiro.
Prendiamo il treno e torniamo a casa, a Bisgia – il modo in cui qui dicono villa. Diciotto chilometri di distanza percorsi in quaranta minuti. Tutto si fa complicato.
Retiro – la stazione è bella ma suizia –, lercia. Impossibile reggere l’onda, leggere l’onda, puoi solo sentirne l’odore. La puzza di miseria. Questa sa di piscio di bambino – è lurido - viaggia con i genitori o a branchi di 3 o 4 - dà continue strette di mano e figurine offerte in cambio di pochi pesos.
Ma il pubblico poche volte partecipa, sta appena un pò più su ed ha paura – questa verità riluce come un’apparizione di una delle madonne più popolari della nostra tradizione. La gente va verso la bisgia fea – che è come qui dicono favela. La sentono così vicina che li inquieta e li rende impermeabili a tutto, alle cose più elementari: il pianto, il moccolo, il puzzo di piscio di una bambina di tre anni che ti da la mano e ti lascia la figurina della madonna. Sarà questo il punto di non ritorno?
No, è molto più in basso, ma a me questo mi sembra già abbastanza.
Poi, molto silenzio. Questo non te l’aspetti – il parlare sottovoce – il risparmiare le forze.
Prossima stazione Retiro.
Prendiamo il treno e torniamo a casa, a Bisgia – il modo in cui qui dicono villa. Diciotto chilometri di distanza percorsi in quaranta minuti. Tutto si fa complicato.
Retiro – la stazione è bella ma suizia –, lercia. Impossibile reggere l’onda, leggere l’onda, puoi solo sentirne l’odore. La puzza di miseria. Questa sa di piscio di bambino – è lurido - viaggia con i genitori o a branchi di 3 o 4 - dà continue strette di mano e figurine offerte in cambio di pochi pesos.
Ma il pubblico poche volte partecipa, sta appena un pò più su ed ha paura – questa verità riluce come un’apparizione di una delle madonne più popolari della nostra tradizione. La gente va verso la bisgia fea – che è come qui dicono favela. La sentono così vicina che li inquieta e li rende impermeabili a tutto, alle cose più elementari: il pianto, il moccolo, il puzzo di piscio di una bambina di tre anni che ti da la mano e ti lascia la figurina della madonna. Sarà questo il punto di non ritorno?
No, è molto più in basso, ma a me questo mi sembra già abbastanza.
quella luce
C’è una luce che fa brillare la massa: è un agente fluorescente in grado di illuminare le cellule ammalate.
Per ora lo hanno provato solo sugli animali.. e noi che siamo? Mah!!
Dicevamo: “la delimiti e riesci ad asportarla.”
Ma io la sento nelle braccia; e se la sento nelle dita, nella schiena, nelle gambe, nel cuore, nei neuroni, in ogni cellula del mio corpo metastatizzato, come faccio ad asportarla?
Uno degli ostacoli più grandi di questa lotta è proprio l'impossibilità di delimitarne con certezza i confini, rendendo difficili eventuali interventi chirurgici.
Se io opero, sono costretta ad asportare più del necessario, anche tutto ciò che non è colpito dalla malattia e così, mentre la taglio, questa parte mi va via: quella buona, quella che assaggiavo ogni volta che mi dicevo: proprio me? questa che non voglio neanche io? ed allora forse qualcosa di buono c’è, qualcosa da volere c’è.
E la diversa si faceva strada, faticosamente, attraverso le spine degli anni bui, quelli spesi a dirsi che si era poco pesanti, solo pochi chili e non abbastanza per essere degni di esserci.
A quella che fine faccio fare?
E sebbene il gruppo di ricerca della Vanderbilt University (Tennessee) abbia sviluppato un composto in grado di “accendere la luce” nelle cellule della malattia, a me questa scoperta non mi fa niente, anzi mi fa un baffo - come usa dire - perché la malattia è ovunque.
Anche se gli inibitori fluorescenti dell'enzima COX-2, verranno illuminati e guardati con attenzione per prevenire per individuarla a livello cellulare, la scienza questa volta è arrivata tardi, e non ha vere soluzioni.
Perché tanto c’ero io che fin quasi dal primo giorno sapevo già tutto, e faceva bene e faceva paura, ma così tanta, che io l’ho chiamata in centomila modi altri – le ho dato tutti i nomi – e tutte le impalcature.
L’enzima l’avevo pure utilizzato, come faro, nella caccia alle cellule maligne, e, avevo detto: “separiamo”; avevo detto: ”delimitiamo.”
Ma la malattia è stata più furba di me, più forte di me.
Io, non ho saputo fare altro che andarvi incontro, col passo lento della processione che mentre va recita il: ”mea culpa..mea culpa..mea grandissima culpa!”
Ma anche con il passo veloce della banda che mentre va recita il: “somebody to love.!”
Però lo giuro: “davvero non ho potuto scegliere!”
Ha fatto il suo corso da sola, e se esisteva un rimedio, una medicina, doveva essere una medicina rara perché io non l’ho saputa trovare.
Per ora lo hanno provato solo sugli animali.. e noi che siamo? Mah!!
Dicevamo: “la delimiti e riesci ad asportarla.”
Ma io la sento nelle braccia; e se la sento nelle dita, nella schiena, nelle gambe, nel cuore, nei neuroni, in ogni cellula del mio corpo metastatizzato, come faccio ad asportarla?
Uno degli ostacoli più grandi di questa lotta è proprio l'impossibilità di delimitarne con certezza i confini, rendendo difficili eventuali interventi chirurgici.
Se io opero, sono costretta ad asportare più del necessario, anche tutto ciò che non è colpito dalla malattia e così, mentre la taglio, questa parte mi va via: quella buona, quella che assaggiavo ogni volta che mi dicevo: proprio me? questa che non voglio neanche io? ed allora forse qualcosa di buono c’è, qualcosa da volere c’è.
E la diversa si faceva strada, faticosamente, attraverso le spine degli anni bui, quelli spesi a dirsi che si era poco pesanti, solo pochi chili e non abbastanza per essere degni di esserci.
A quella che fine faccio fare?
E sebbene il gruppo di ricerca della Vanderbilt University (Tennessee) abbia sviluppato un composto in grado di “accendere la luce” nelle cellule della malattia, a me questa scoperta non mi fa niente, anzi mi fa un baffo - come usa dire - perché la malattia è ovunque.
Anche se gli inibitori fluorescenti dell'enzima COX-2, verranno illuminati e guardati con attenzione per prevenire per individuarla a livello cellulare, la scienza questa volta è arrivata tardi, e non ha vere soluzioni.
Perché tanto c’ero io che fin quasi dal primo giorno sapevo già tutto, e faceva bene e faceva paura, ma così tanta, che io l’ho chiamata in centomila modi altri – le ho dato tutti i nomi – e tutte le impalcature.
L’enzima l’avevo pure utilizzato, come faro, nella caccia alle cellule maligne, e, avevo detto: “separiamo”; avevo detto: ”delimitiamo.”
Ma la malattia è stata più furba di me, più forte di me.
Io, non ho saputo fare altro che andarvi incontro, col passo lento della processione che mentre va recita il: ”mea culpa..mea culpa..mea grandissima culpa!”
Ma anche con il passo veloce della banda che mentre va recita il: “somebody to love.!”
Però lo giuro: “davvero non ho potuto scegliere!”
Ha fatto il suo corso da sola, e se esisteva un rimedio, una medicina, doveva essere una medicina rara perché io non l’ho saputa trovare.
domenica 11 luglio 2010
mi piace la milonga
dopo averla guardata dalla distanza, da turista accostumbrata alla grande città, che conosce abbastanza l'America e non le fa quasi più stupore... ebbene, con questo sguardo, ora so che Buenos Aires non è tutta un tango!
Ha il passo antico della milonga e quello più moderno del rock and roll.
Li concilia con una certa tristezza da america minore, con le architetture e gli sguardi giusti, quelli che vanno dritti dove devono.
Sguardi che hanno gli occhi di donne lunghe ed irregolari che sono la mescla di tre generazioni di diversi: mamma basca, papà genovese, la nonna francese, il nonno italiano, tedesco, inglese, messicano, indio, boliviano..
Ma anche gli occhi di uomini, esperti, che ti fanno ballare laddove nessun altro può farti ballare, leviana, nella leggerezza, ma con decisione.
Io sono stata ad una milonga che è un tempo, un ballo, ed anche un posto. Il mio si chiamava "la viruta" - come a dire lo sfrido, il consumarsi delle scarpe sul pavimento. E non ha l'aria triste e malinconica della balera, forse perchè la frequentano un pò tutti, vecchi e giovani e vi si balla di tutto.
Tra i milongueros mi sono goduta il ritmo, la confusione e il litigio - che sono l'origine della parola milonga, mi sono divertita col suo linguaggio. L'ho ballata, allegra, senza nostalgia, l'unico sguardo che ho saputo dare è al presente, al tempo del ballo. Con in testa il non so!
Ed ho imparato una cosa nuova, una che non sapevo: è l'uomo che invita, con gli occhi, poi abbassa il capo, solo un poco, e ti fa ballare, se vuoi.
Perchè nella milonga.. porta l'uomo!
Ha il passo antico della milonga e quello più moderno del rock and roll.
Li concilia con una certa tristezza da america minore, con le architetture e gli sguardi giusti, quelli che vanno dritti dove devono.
Sguardi che hanno gli occhi di donne lunghe ed irregolari che sono la mescla di tre generazioni di diversi: mamma basca, papà genovese, la nonna francese, il nonno italiano, tedesco, inglese, messicano, indio, boliviano..
Ma anche gli occhi di uomini, esperti, che ti fanno ballare laddove nessun altro può farti ballare, leviana, nella leggerezza, ma con decisione.
Io sono stata ad una milonga che è un tempo, un ballo, ed anche un posto. Il mio si chiamava "la viruta" - come a dire lo sfrido, il consumarsi delle scarpe sul pavimento. E non ha l'aria triste e malinconica della balera, forse perchè la frequentano un pò tutti, vecchi e giovani e vi si balla di tutto.
Tra i milongueros mi sono goduta il ritmo, la confusione e il litigio - che sono l'origine della parola milonga, mi sono divertita col suo linguaggio. L'ho ballata, allegra, senza nostalgia, l'unico sguardo che ho saputo dare è al presente, al tempo del ballo. Con in testa il non so!
Ed ho imparato una cosa nuova, una che non sapevo: è l'uomo che invita, con gli occhi, poi abbassa il capo, solo un poco, e ti fa ballare, se vuoi.
Perchè nella milonga.. porta l'uomo!
sabato 3 luglio 2010
24 themis
Ci sono ghiacciaie più calde di questo cuore. Non è questione di colpe, dolori, inadeguatezze.
È forse questione di..se ce l’hai o no, un cuore funzionante, uno che lo conosci, che ti corrisponda. Ma quel ghiaccio, potevi non saperlo, che dentro c’erano composti organici.
O ti faceva solo paura: essere fatta di tutto quello che si era prodotto nello scontro con altri asteroidi, con gli altri corpi celesti. Potevi aspettarti contaminazione - o magari invece no - quello era solo ghiaccio.
Poi c’è stato un giorno di primavera.
Il giorno dopo, dopo avere scoperto che niente faceva paura, niente ridere, niente dolore.
Dopo avere scoperto che era la malattia a guidare la veglia ed il sonno e che non sapevi quanto tempo ti sarebbe rimasto, cosa sarebbe rimasto di te.
Il giorno del “sarò passata invano”.
Ebbene quel giorno era quello del cammino, del viaggio, dell’avventura, della risposta.
Ma non fa più paura, fa solo abitudine, nostalgia, struggimento ed energia.
Che poi si passi invano..è vero e non è vero, perchè sei fatta del composto organico di cui è fatto il cuore di questo mondo.
Sei 24 themis.
Come te milioni al mondo, milioni nell’universo.
Ti si può osservare col telescopio del vulcano di Mauna Kea, alle Hawaii; analizzare lo spettro delle sostanze che ti compongono, e scoprire che sei ricoperta - per tutta la tua superficie - da un sottile strato di ghiaccio misto al carbonio - materia elementare. E, magari, calcolare il momento in cui cadranno sulla terra per dare “inizio alla vita".
Una serie di considerazioni, calcoli matematici, trasporti speciali su code di comete, e puoi metterci le mani sopra; scoprire che questo freddo che hai addosso - come pellicola - si scioglie se ti incontri con uno dei milioni, con alcuni precisi dei milioni.
E se ti scontri.
Ed anche se sei uno dei più grandi asteroidi di ghiaccio in circolazione nel sistema solare e viaggi - da qualche miliardo di secondi - e viaggi in una fascia compresa tra marte e giove - sei fatta di acqua della vita.
E gli scienziati pensano che sia più diffusa di quanto non si immagini: potrebbe essere anche al tuo interno, oltre che sulla superficie.
E allora che fai?
Niente, perché tu sei themis, l’irremovibile. Governatrice delle leggi naturali.
Nelle tue peregrinazioni molte volte sei andata - come corpo roccioso - vicino al sole ed il tuo ghiaccio, gli scienziati, hanno pensato si fosse vaporizzato tutto, come quello delle comete.
Ma se hai la riserva interna, l’acqua nebulizzata e rarefatta profuma di te, corrompe il materiale ferroso e ne fa sostanza primordiale.
Il prossimo passo, annunciano i ricercatori, sarà studiare i dettagli di quest'acqua per capire se è identica, per vedere se coincide con quella del pianeta blu.
È forse questione di..se ce l’hai o no, un cuore funzionante, uno che lo conosci, che ti corrisponda. Ma quel ghiaccio, potevi non saperlo, che dentro c’erano composti organici.
O ti faceva solo paura: essere fatta di tutto quello che si era prodotto nello scontro con altri asteroidi, con gli altri corpi celesti. Potevi aspettarti contaminazione - o magari invece no - quello era solo ghiaccio.
Poi c’è stato un giorno di primavera.
Il giorno dopo, dopo avere scoperto che niente faceva paura, niente ridere, niente dolore.
Dopo avere scoperto che era la malattia a guidare la veglia ed il sonno e che non sapevi quanto tempo ti sarebbe rimasto, cosa sarebbe rimasto di te.
Il giorno del “sarò passata invano”.
Ebbene quel giorno era quello del cammino, del viaggio, dell’avventura, della risposta.
Ma non fa più paura, fa solo abitudine, nostalgia, struggimento ed energia.
Che poi si passi invano..è vero e non è vero, perchè sei fatta del composto organico di cui è fatto il cuore di questo mondo.
Sei 24 themis.
Come te milioni al mondo, milioni nell’universo.
Ti si può osservare col telescopio del vulcano di Mauna Kea, alle Hawaii; analizzare lo spettro delle sostanze che ti compongono, e scoprire che sei ricoperta - per tutta la tua superficie - da un sottile strato di ghiaccio misto al carbonio - materia elementare. E, magari, calcolare il momento in cui cadranno sulla terra per dare “inizio alla vita".
Una serie di considerazioni, calcoli matematici, trasporti speciali su code di comete, e puoi metterci le mani sopra; scoprire che questo freddo che hai addosso - come pellicola - si scioglie se ti incontri con uno dei milioni, con alcuni precisi dei milioni.
E se ti scontri.
Ed anche se sei uno dei più grandi asteroidi di ghiaccio in circolazione nel sistema solare e viaggi - da qualche miliardo di secondi - e viaggi in una fascia compresa tra marte e giove - sei fatta di acqua della vita.
E gli scienziati pensano che sia più diffusa di quanto non si immagini: potrebbe essere anche al tuo interno, oltre che sulla superficie.
E allora che fai?
Niente, perché tu sei themis, l’irremovibile. Governatrice delle leggi naturali.
Nelle tue peregrinazioni molte volte sei andata - come corpo roccioso - vicino al sole ed il tuo ghiaccio, gli scienziati, hanno pensato si fosse vaporizzato tutto, come quello delle comete.
Ma se hai la riserva interna, l’acqua nebulizzata e rarefatta profuma di te, corrompe il materiale ferroso e ne fa sostanza primordiale.
Il prossimo passo, annunciano i ricercatori, sarà studiare i dettagli di quest'acqua per capire se è identica, per vedere se coincide con quella del pianeta blu.
venerdì 2 luglio 2010
la gaia scienza
Il giornale è di qualche giorno fa, ma io non ho l’ansia di conoscere le notizie in diretta e penso anche che non cambi nulla se l’editoriale del giorno sia un po’stagionato, che abbia fatto, per così dire, il suo corso;, come le cose che sono già successe, e che ce ne rammarichiamo a fare?
Per la scienza poi, il discorso è come per la religione: questione di tempo. Noi passiamo, e non importa se le scoperte di oggi siano già immortali, ci sarà tempo perché divengano funzionali a questa o quell’altra attività umana e che si sostituiscano alla natura, con quel passo inesorabile, quell’incedere da cavaliere dell’apocalisse che possiedono.
L’articolo, taglio alto, recita così: “I ricercatori del Mit sono riusciti a riprodurre il processo naturale con cui le piante catturano il sole. Prossimo obiettivo: costruire centrali alimentate ad acqua e sole”. I ricercatori hanno di che essere fieri: hanno modificato geneticamente un virus: M13, che normalmente infetta i batteri, che agisce come un raccoglitore di luce, un raccoglitore molto, molto efficace.
Fotosintesi, la foglia artificiale. E dire che noi sulla terra abbiamo chi fa energia pulita da sempre: le piante. Una risorsa illimitata di energia, e naturale, e sostenibile, ma quelle le tagliamo per farci carta igienica e dunque ne dobbiamo costruire di artificiali.
Ed è un po’ come dire: “sai che c’è? io una cosa so fare bene al mondo, pervaderlo d’amore, rabbia, bellezza, creatività, però da domani non lo faccio più, perché la scienza avrà studiato ben benino il processo, gli ormoni, la comunicazione, gli emisferi, i neuroni e avrà i materiali adatti: tessuti molli, muscoli artificiali, porosità grondanti sangue: fegati, milze, stomaci, intestini e soprattutto il muscolo maggiore e le anse “intorcigliate”, sedi di passioni e di assenze, e li avrà sostituiti ai veri.
Ed io proprio quel momento sto aspettando, proprio in quel momento vorrei essere il lettore dell’editoriale già passato, quello di qualche giorno fa, quando tutte le cose sono già successe, quando M13 raccoglierà la luce per me e ne farà sintesi.
E non riesco a rammaricarmi. Non riesco a sentire. Non a patire, né a compatire. Qualcuno se ne farà carico per me: la scienza.
Io starò, come graminacea, a sostenermi durante la mia unica stagione. Battuta dal vento, senza sapere di cosa si viva, senza conoscere sobbalzi ed oscurità, né anche avere contezza di pioggia, di sole, di rumori, di terra. Senza il tremare dell’attesa, la paura, l’emozione, senza il rammarico, senza tristezze, senza dolore.
Stupefacente: senza!
Per la scienza poi, il discorso è come per la religione: questione di tempo. Noi passiamo, e non importa se le scoperte di oggi siano già immortali, ci sarà tempo perché divengano funzionali a questa o quell’altra attività umana e che si sostituiscano alla natura, con quel passo inesorabile, quell’incedere da cavaliere dell’apocalisse che possiedono.
L’articolo, taglio alto, recita così: “I ricercatori del Mit sono riusciti a riprodurre il processo naturale con cui le piante catturano il sole. Prossimo obiettivo: costruire centrali alimentate ad acqua e sole”. I ricercatori hanno di che essere fieri: hanno modificato geneticamente un virus: M13, che normalmente infetta i batteri, che agisce come un raccoglitore di luce, un raccoglitore molto, molto efficace.
Fotosintesi, la foglia artificiale. E dire che noi sulla terra abbiamo chi fa energia pulita da sempre: le piante. Una risorsa illimitata di energia, e naturale, e sostenibile, ma quelle le tagliamo per farci carta igienica e dunque ne dobbiamo costruire di artificiali.
Ed è un po’ come dire: “sai che c’è? io una cosa so fare bene al mondo, pervaderlo d’amore, rabbia, bellezza, creatività, però da domani non lo faccio più, perché la scienza avrà studiato ben benino il processo, gli ormoni, la comunicazione, gli emisferi, i neuroni e avrà i materiali adatti: tessuti molli, muscoli artificiali, porosità grondanti sangue: fegati, milze, stomaci, intestini e soprattutto il muscolo maggiore e le anse “intorcigliate”, sedi di passioni e di assenze, e li avrà sostituiti ai veri.

Ed io proprio quel momento sto aspettando, proprio in quel momento vorrei essere il lettore dell’editoriale già passato, quello di qualche giorno fa, quando tutte le cose sono già successe, quando M13 raccoglierà la luce per me e ne farà sintesi.
E non riesco a rammaricarmi. Non riesco a sentire. Non a patire, né a compatire. Qualcuno se ne farà carico per me: la scienza.
Io starò, come graminacea, a sostenermi durante la mia unica stagione. Battuta dal vento, senza sapere di cosa si viva, senza conoscere sobbalzi ed oscurità, né anche avere contezza di pioggia, di sole, di rumori, di terra. Senza il tremare dell’attesa, la paura, l’emozione, senza il rammarico, senza tristezze, senza dolore.
Stupefacente: senza!
vado
Vado
passo dopo passo
sulle sconnessioni
sotto la volta di grevi rami
mi spina e accoglie il profumo.
Ho diritto ad essere chiamata la trasparente
perché trasparenti sono le vene
il sangue
la fatica delle braccia.
Ho diritti
stare
parlare
avere risposte alle domande
al patto tra liberi
a nuovi amori
nuovi dolori
muovermi
essere debole e forte
ho intelligenza.
Ho diritto a dire la verità e, responsabilità.
Dire a chi viene con aspettative
c’è chi si cura di te
chi patisce
chi ricorderà il gesto
il tuo passare
nessuna consolazione - saremo passati.
Malinconia, ombra, traccia, complessità, intensità, fragilità.
Riconosco in altri da me somiglianze
silenzio
solitudine
uso in saputo del linguaggio dei segni.
passo dopo passo
sulle sconnessioni
sotto la volta di grevi rami
mi spina e accoglie il profumo.
Ho diritto ad essere chiamata la trasparente
perché trasparenti sono le vene
il sangue
la fatica delle braccia.
Ho diritti
stare
parlare
avere risposte alle domande
al patto tra liberi
a nuovi amori
nuovi dolori
muovermi
essere debole e forte
ho intelligenza.
Ho diritto a dire la verità e, responsabilità.
Dire a chi viene con aspettative
c’è chi si cura di te
chi patisce
chi ricorderà il gesto
il tuo passare
nessuna consolazione - saremo passati.
Malinconia, ombra, traccia, complessità, intensità, fragilità.
Riconosco in altri da me somiglianze
silenzio
solitudine
uso in saputo del linguaggio dei segni.
mi stancano le nude ripetizioni
mi stanca non arrivare
sentire il vuoto, tastare l'intorno respingente.
piuttosto preferisco il silenzio, il sostare, lo scomparire.
preludio di un pensiero, di una idea, di un cammino.
sentire il vuoto, tastare l'intorno respingente.
piuttosto preferisco il silenzio, il sostare, lo scomparire.
preludio di un pensiero, di una idea, di un cammino.
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