Sono circondata.
Per sopravvivere – così mi pare – ognuno s’è scelto un destino – o una causa – che forse sono la stessa cosa - gli indiani d’America, gli aborigeni, il popolo rom, i disabili, gli ammalati, i drogati.
In qualche modo andiamo verso il mondo. Nel migliore dei casi con una propensione a rilasciare un po’ di cuore - il buono e il bello che qualcuno di noi ha ricevuto in dote.
Questa cosa qui io la chiamo: averci un paliotto.
Lo faccio solo perché mi piace il nome - dato che questo è un velo a coprire l’altare.
Ma, a pensarci bene, questa cosa ha un gusto di sacro – va messa al caldo - e dunque ci sta anche il nome.
A me è venuto in mente perché l’ho sentito ripetuto come cantilena da una signora che del restauro di un velo aveva fatto ragione di vita.
Così ho deciso: paliotto uguale idea fissa, giusta causa.
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L’uomo di cui sono innamorata – amore non corrisposto – ha ben pensato di spararsi un colpo in testa un paio d’anni fa – si chiama David Foster Wallace.
Di paliotti – David - ne maneggiava diversi e contemporaneamente.
I suoi erano universi ed entropie che ci riconsegnava con un proprio ordine - assolutamente geniale - ed anche un tantino maniacale .
Aveva sulle parole, sulla vita che creavano, un controllo assoluto - per centinaia di pagine.
Pensi - non ce la fa, ora cade, ora si perde - ma a perderti ci ha pensato già lui, e tu, incredula, stai nel gioco, nella sua vertigine, integra e coerente; piena di tutta l’umanità, le anime, le danze, i rivolgimenti.
Stava nel mondo - vivo.
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