- mmmmm, stanotte un sacco di sogni e poi sveglia all'alba...
- poi?
- mi affaccio sul patio, su questa nebbia d'autunno che si fatta fredda e pungente e penso a scendere giù, a farmi un caffè a scrivere di sogni, a pensare.
- e?
- è!!!
- è... cosa?
- E' quando le parole le pensi solo quando stai scrivendo perché sfuggono alla aleatorietà delle conversazioni e si fanno della tua stessa carne, del tuo stesso alito, davvero.
Grazie alla parola ci rendiamo liberi, liberi dal momento, dalla circostanza assediante e istantanea. Ma la parola non ci pone al riparo, né pertanto ci crea, anzi, il suo uso eccessivo produce sempre una disgregazione; per mezzo della parola vinciamo il momento e subito dopo siamo vinti da esso, dalla successione di momenti che superano il nostro assalto senza lasciarci rispondere. È una continua vittoria, che alla fine si trasforma in sconfitta.
E da questa sconfitta intima, umana, non di un singolo uomo ma dell’essere umano, nasce l’esigenza di scrivere. Si scrive per rifarsi della sconfitta subita ogni qualvolta abbiamo parlato a lungo.
La vittoria, del resto, può darsi solo dove si è subita la sconfitta, nelle stesse parole. Queste stesse parole avranno ora, nello scrivere, una diversa funzione: non serviranno più il momento oppressore, non serviranno più a giustificarci di fronte all'assalto del momentaneo, bensì, partendo dal centro del nostro essere raccolto in se stesso, ci difenderanno di fronte alla totalità dei momenti, di fronte alla totalità delle circostanze, di fronte alla vita intera.
C'è nello scrivere un trattenere le parole, come nel parlare c'è invece un liberarle, un distaccarsi da noi. Scrivendo si trattengono le parole, le si fanno proprie, soggette a ritmo, contrassegnate dal dominio umano di chi in questo modo le maneggia.
Maria Zambrano