venerdì 14 febbraio 2014

Magari passeggiavo...

dal lat. tardo synopsis, gr. σύνοψις «sguardo d’insieme» (comp. di σύν «con, insieme» e ὄψις «vista»)].
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Ci siamo salutati con la mano, un bacio veloce e via, ognuno nel mondo, ognuno al lavoro. E' l’unica cosa che ci è concessa insieme ed ha un passo lento.
La strada era affollata, ma noi ce l’abbiamo fatta a vederci, l’un l’altra. Fino ad un minuto prima avevo guardato le strisce, poi quella ragazza bionda con i capelli lunghi e le gambe lunghe, poi la signora in carrozzina, mamme con bambini, papà con bambini, la giornata scorreva come un’acqua placida, non correvo, non ero ferma, magari passeggiavo.

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mercoledì 5 febbraio 2014

Mare aperto o del cessare

Scrivendo a quattro mani ad un certo punto ho detto: basta voglio finire! Non sono d'accordo, magari ci ripensi! Forse, ma mi fa male la spietatezza, lo sguardo su di me e la critica che attivo nella scrittura. Che dici sarà meglio considerare altre pratiche di appagamento del cuore?














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All’interrogativo ‘da dove parli?’ è lo stesso Foucault a rispondere in Archeologia del sapere: «tutto ciò che io dico potrebbe avere come effetto lo spostamento del luogo dal quale parlo» (M. Foucault, Archeologia del sapere, trad. it. di G. Bogliolo, RCS, Milano 1998, p. 268).
Lo slittamento del terreno equivale all’istituzione di una differenza, non un’origine ma un decentramento: «Mi chiedi da quale luogo parlo? Ti rispondo spostandomi. La mia risposta è il mio spostarmi. È ri-sposta» (p. 197). Questo movimento è l’esercizio filosofico di Foucault, che non è un discorso, ma un’azione dagli effetti concreti, una trasformazione tangibile.
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«il soggetto filosofico-scientifico, allevato e istruito dal dispositivo alfabetico, è dunque soggetto a quella visione teorico-contemplativa e a quell’abito logico-descrittivo che sono il suo peculiare incanto» (p. 268). Le ultime pagine del libro si orientano verso una sospensione del dispositivo e una interruzione del suo potere figurans. Per disinnescarlo è necessario sporgersi – secondo Redaelli – sull’insensato che precede ogni precaria sensatezza. La proposta filosofica è quella di riorientare lo sguardo su un fondo nietzschiano di non senso e considerare la critica una pratica tra le altre poiché solo abitando questo paradosso può realizzare «il proprio shabbat» (p. 268).
da: lo sguardo
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 La parola ebraica Shabbat proviene dal verbo ebraico lishbot (לשבות) che letteralmente significa smettere, inteso come smettere di compiere alcune azioni. Sebbene "Shabbat" o la sua versione anglicizzata "Sabbath" siano universalmente tradotti come "riposo" o "tempo del riposo", una traduzione più letterale sarebbe "lo smettere" con l'induzione a "smettere di lavorare".
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Tuttavia in una tavoletta lessicografica assira si trova questa equivalenza: ûm nûé libbi = ša-bat-tum; cioè "giorno d'appagamento di cuore" (presso gli dei) è equivalente a ša-bat-tum, il che significa che il giorno favorevole a propiziare gli dei è un ša-bat-tum ("appagamento"?).